9 Aprile 2018

Anche il mondo aziendale ha rivalutato l’importanza della narrazione. Capita sempre più spesso che le organizzazioni decidano di approfondire il tema dello storytelling integrandolo anche nei percorsi di formazione – consulenza – coaching per la gestione del cambiamento.

Le storie… proteggono: chiedere infatti ai collaboratori di un’azienda di esporsi e manifestare le proprie difficoltà può essere difficile. Le persone spesso decidono di tutelarsi e di tenersi tutti i dubbi e le opinioni per sé. Raccogliere i punti di vista delle persone attraverso lo storytelling, è più facilitante: il racconto offre una serie di opzioni che la pura descrizione non concede. La possibilità di utilizzare metafore, di parlare di sé in terza persona, di raccontare la propria situazione secondo un punto di vista esterno, sono tutti espedienti che aiutano i collaboratori ad aprirsi e a condividere preziose informazioni che altrimenti non emergerebbero.

Le storie… fotografano: le narrazioni aziendali metaforiche, sorprendono per la loro specificità dettagliata che contraddistingue una persona da un’altra, un reparto da un altro, il posizionamento di un gruppo da quello di un altro gruppo, le modalità di analisi e soluzione dei problemi che vengono vissute diversamente. Così come la letteratura è la fotografia di un’epoca, allo stesso modo lo storytelling può restituire una fotografia dell’azienda e delle persone che la vivono ogni giorno. Esattamente come può accadere, in alcuni casi, valutando la percezione esterna che possono avere clienti e fornitori, proprio per come la esprimono nelle loro narrazioni.

Pensandoci bene, siamo diventati adulti vivendo storie: ascoltando storie: leggendo storie, guardando storie, immaginando storie, partecipando a storie.

Siamo cresciuti creando “connessioni storiche fattuali”. Tra i nostri saperi e la nostra identità, confrontati con i saperi e l’identità di altri protagonisti degli eventi della nostra vita. Siamo diventati e siamo adulti immersi nella realtà dei nostri vissuti. Sempre mettiamo in gioco, bene o male, le relazioni costitutive del “saper conoscere”, del “saper fare” qualcosa, del “saperlo fare insieme agli altri” e quindi del nostro “saper essere”.

Scritto da: Claudio Frasson

 

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